Ci sono mestieri che hanno un rapporto intrinseco con determinate pietanze. Il caciucco lo cucinavano i pescatori livornesi col pescato meno pregiato, l’hamburger appartiene alla storia dei marinai tedeschi emigrati a New York, l’insalata d’arance, pur di derivazione spagnola, era prerogativa dei contadini siciliani.
Nella storia del work food c’è una combinazione che appartiene tutta al mondo delle maestranze edilizie meridionali: la mafalda dei muratori.
Non l’operaio di oggi col casco protettivo e le scarpe con la punta rinforzata. Il muratore di cinquant’anni fa si proteggeva con un cappello fatto con Il Mattino o con La Sicilia, pur non sapendo cos’era un origami.
La sua pausa-pranzo era codificata e aveva un profumo ben preciso: quello del panino con la mortadella, imbottito in casa. Il tutto accompagnato da una epica Birra Messina.
I più assistiti (da madri o da mogli, dipendeva dall’età) vi inserivano anche i mitici sottaceti, miscuglio di verdure che la salamoia in olii incerti rendeva tutte di uguale sapore. La mafalda, nelle quattro ore che ne precedevano il consumo, aveva il tempo di diventare un tutt’uno col companatico, assumendo un sapore ma soprattutto sprigionando un profumo capace di sovrastare i fumi della calce viva che sobbolliva a cielo aperto dentro i bidoni del cantiere.
Sicurezza sul lavoro zero, godimento a mille, pari alla fatica di un mestiere che spesso usava ragazzini.
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IL DIBATTITO, SÌ!
Ricordare comportamenti e situazioni che hanno preceduto il nostro presente è un’operazione di coscienza collettiva: un’azione naturale e ovvia come il consumo di un panino ha un vissuto ben preciso.
Proseguiamo sul filo dei ricordi?